Come sappiamo già dalle statistiche fornite durante tutto il 2023, la Cina domina le classifiche mondiali in tutte le tecnologie legate alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
Pechino è attualmente intenzionata a raggiungere la cifra record di 230 gigawatt (GW) di installazioni eoliche e solari quest’anno, più del doppio del numero di installazioni statunitensi ed europee messe insieme (fonte: “Come la Cina è diventata il leader globale delle energie rinnovabili” di Wood Mackenzie), raggiungendo per gli investimenti in progetti eolici e solari i 140 miliardi di dollari entro la fine dell’anno.
Il dominio non si ferma solo a queste ultime due tecnologie ma ne comprende anche altre fondamentali per la decarbonizzazione del pianeta quali, tra le più sofisticate, quelle degli elettrolizzatori, necessari per la produzione di idrogeno verde, e quelle relative alla produzione di pompe di calore.
Secondo l’IEA (International Energy Agency), la Cina rappresenta oltre il 70% della capacità produttiva globale di pannelli solari e batterie, oltre ad essere il maggiore produttore di capacità eolica e pompe di calore (rispettivamente il 58% e il 38% di questi mercati).
Sul piano politico interno la Cina, annunciando il suo obiettivo di neutralità carbonica entro il 2060, ha riorganizzato negli anni l’intero settore energetico per sostenere la rapida elettrificazione e l’espansione delle energie rinnovabili, aumentando le sue prospettive per l’energia eolica e solare per il 2025 del 43%, ovvero di 380 GW fino a raggiungere i 750 GW complessivi.
Sempre dati IEA ci dicono che la Cina è anche leader nella lavorazione globale del cobalto, del litio e del nickel, minerali fondamentali per la produzione delle tecnologie green.
Inoltre, la Cina è diventata leader nello stoccaggio di energia connesso alla rete, con una capacità che raggiungerà i 67 GW nel 2023 e una prospettiva di espansione fino a 300 GW entro il 2030, nonché nella produzione di auto elettriche (la BYD è divenuta il primo produttore mondiale).

La quota del carbone nella produzione di energia è in continua diminuzione, scendendo di 10 punti percentuali negli ultimi cinque anni fino a raggiungere il 55%-60% circa. Circa l’80% della riduzione è stata sostituita dalle energie rinnovabili e il resto principalmente dal nucleare.
Il calo dei tassi di interesse, i bassi costi energetici, l’intensa competizione sui prezzi tra i fornitori nazionali e il sostegno del governo alla ricerca e allo sviluppo e alla produzione sono tutti fattori che hanno favorito la caduta dei costi in Cina.
D’altro canto, l’intero continente asiatico è crescita dal punto di vista degli investimenti nelle energie rinnovabili, con 495 miliardi di dollari investiti nel 2022 (Fonte: Insideevs).
Se la Cina si può quindi considerare “in fuga” sul tema delle Rinnovabili, le Economie occidentali hanno cominciato a reagire e le politiche industriali nella transizione di USA e EU sono le basi per accelerare gli investimenti.
Come anche si è visto nei risultati del COP28 di Dubai, proprio Cina e Stati Uniti hanno trovato un punto di coordinamento e di sintesi condivisa nell’approccio al climate change.
L’accordo di Dubai ha introdotto nel concetto di “Transition away” dai combustibili fossili un approccio graduale in contrapposizione al concetto di “phase out” che portava a scelte più nette e decise, avendo in ogni caso l’obiettivo di raggiungere il net zero entro il 2050. Per quanto riguarda la capacità di energia rinnovabile a livello globale entro il 2030, questa dovrà triplicare mentre, sul piano dell’efficienza energetica, la media globale del tasso annuo di miglioramento dovrà raddoppiare.
Inoltre, nello stesso accordo è prevista la resa operativa del fondo Loss & Damage per i paesi che meno contribuiscono al riscaldamento globale ma che ne subiscono le peggiori conseguenze, nonché l’accelerazione delle riduzioni delle emissioni derivanti dal trasporto stradale.
Per quanto detto sopra quindi la Cina sarà un sicuro protagonista nel nuovo paradigma della lotta al cambiamento climatico.